La trattenuta sulla malattia è legittima

… è’ stato deciso dalla CORTE COSTITUZIONALE con la Sentenza 120/2012 del 7 maggio che ha ritenuto esclusa la denunciata violazione dell’art. 3 Cost.

In primo luogo, l’art.2110 del codice civile dispone che, in caso di malattia, spettano al lavoratore la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità.

Ciò significa che già la norma generale di disciplina dell’istituto è programmaticamente aperta ad una pluralità di soluzioni regolative di dettaglio.

In secondo luogo, sotto il profilo in esame, l’impianto normativo del lavoro pubblico non è confrontabile con quello del lavoro privato, per il fatto che nell’ ambito di quest’ultimo convivono regimi notevolmente diversificati.

Invero, per esso, talora si fa ricorso ad un sistema assicurativo obbligatorio (destinato peraltro solo ad una parte dei lavoratori: operai, agricoli ed altre specifiche categorie), rispetto al quale, di conseguenza, la contrattazione collettiva svolge una funzione integrativa nei vari settori merceologici (intervenendo con una quota della retribuzione in aggiunta alla prestazione previdenziale). Talora, invece, la copertura previdenziale non è prevista (come nel caso degli impiegati). La legge speciale (art. 6 del regio decreto-legge 13 novembre 1924, n. 1825, recante «Disposizioni relative al contratto d’impiego privato») e i contratti collettivi dispongono, quindi, autonomamente un trattamento retributivo a favore del lavoratore malato.

Diversamente, nel lavoro pubblico privatizzato – al quale appartengono i lavoratori della scuola che sono parti nel giudizio a quo – la materia è sostanzialmente demandata alla contrattazione collettiva, in ossequio ai princìpi regolatori della normativa del settore, di cui agli artt. 2, 45 e 51 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con una varietà di discipline che risentono delle peculiarità di ciascun comparto di riferimento.Sicché, i due sistemi, privato e pubblico, già significativamente differenziati al loro interno, risultano assolutamente incomparabili, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, proprio in relazione al regime della malattia.A tutto ciò va aggiunto che, malgrado la tendenziale omogeneizzazione derivante dalla privatizzazione della disciplina del pubblico impiego, la Corte non ha mancato di escludere l’equiparabilità tra gli àmbiti del lavoro pubblico e del lavoro privato, affermando a più riprese la non perfetta coincidenza dei relativi regimi (sentenze n. 146 del 2008, n. 367 del 2006, nn. 199 e 82 del 2003, n. 309 del 1997, nonché nn. 313 e 388 del 1996).Peraltro, la scelta di depurare del trattamento accessorio la retribuzione fissa mensile del dipendente assente per malattia, sia pure con diverse sfumature, rappresenta una costante nei contratti collettivi del pubblico impiego, e non soltanto nel comparto scuola. Con l’effetto che la norma censurata s’iscrive nel sistema risultante dal complesso della contrattazione collettiva rivolta al personale pubblico dei singoli settori.3.3.– Neppure la questione di legittimità dell’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta in relazione all’art. 36 Cost., è fondata.La conservazione del trattamento fondamentale garantisce, per definizione, l’adeguatezza della retribuzione e la sua funzione alimentare durante il periodo di malattia, tanto più che la durata della riduzione è contenuta dalla disposizione censurata nei limiti della decade.Del resto, questa Corte ha reiteratamente chiarito che il giudizio sulla conformità di un trattamento all’art. 36 Cost. non può essere svolto per singoli istituti, né – può aggiungersi – giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze nn. 366 e 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994). Con la conseguenza che la decurtazione del trattamento accessorio per i soli primi dieci giorni di malattia non arreca alla retribuzione del lavoratore una perdita che possa pregiudicarne, in spregio al dettato costituzionale, la “proporzionalità” o la “sufficienza”.3.4.– Per ragioni analoghe non è ravvisabile alcun contrasto della norma in oggetto con l’art. 38 Cost. Infatti, nessuna disposizione, né generale, né settoriale, impone che la prestazione economica in costanza di malattia coincida o tenda a coincidere con la retribuzione del lavoratore in servizio o con una sua determinata porzione. Sicché, il ragguaglio di essa al mero trattamento fondamentale per i soli primi dieci giorni di assenza non è così drastico da privare il lavoratore infermo di mezzi idonei di sussistenza.D’altro canto, si realizza in tal modo il ponderato bilanciamento, sia con altri princìpi costituzionalmente garantiti, come quello di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), indirettamente perseguito scoraggiando con la forza deterrente della penalizzazione economica fenomeni di assenteismo, sia con ulteriori esigenze di rango primario, come quella (particolarmente avvertita in materia previdenziale) di controllo della spesa pubblica.3.5.– Infine, non sussiste la denunciata lesione dell’art. 32 Cost.È, infatti, non sostenibile che la riduzione di retribuzione sancita dalla norma in questione, con la salvezza del trattamento fondamentale e la brevità della durata, costringa il lavoratore ammalato, come opina il rimettente, a rimanere in servizio pur di non subirla, anche a costo di compromettere ulteriormente la salute.La decurtazione retributiva de qua, non comportando aggravi particolari, è del tutto inidonea ad esercitare qualunque coazione al riguardo.D’altro canto, a tutto voler concedere, questa Corte ha già riconosciuto che anche il diritto alla salute dev’essere contemperato con altre esigenze costituzionalmente tutelate (sentenze n. 212 del 1998 e n. 212 del 1983; ordinanza n. 140 del 1995). E nella specie viene, altresì, in rilievo, come si è visto, il buon andamento della pubblica amministrazione, che la norma censurata si propone a ragion veduta di perseguire disincentivando l’assenteismo.

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